NUTRIZIONE

Le nostre abitudini alimentari ed il nostro stile di vita influenzano in modo considerevole la nostra salute e possono costituire una vera prevenzione primaria ed un valido strumento terapeutico.
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha dimostrato come una corretta alimentazione sia in grado di prevenire molte patologie. Il cibo è energia, ed ogni alimento la esprime in modo del tutto particolare. Una alimentazione sana, portatrice di forze vitali, può ripristinare il nostro equilibrio fisico ed energetico.
IMPARIAMO A NUTRIRCI in modo appropriato, riscoprendo la vera natura di ogni alimento e l’effetto che quel cibo avrà sull’organismo.
STILE E QUALITA’ DELLA VITA

Il mantenimento od il recupero di un peso ideale può essere visto da due punti di vista: estetico e salutista
DIMAGRIMENTO ESTETICO

Il primo è certamente quello estetico. Un persona può essere influenzata dall’immagine corporea di sé proiettata sia verso l’esterno che verso l’interno, ed il suo obiettivo diventa quello di raggiungere un modello ideale per accettarsi e farsi accettare. Una persona che si trova in queste condizioni e che affronta una dieta rientra più probabilmente in quella fascia destinata a recuperare il peso perso durante il regime dietetico. Vediamone ora i motivi…
E’ veramente raro che un sovrappeso sia dovuto al puro e semplice eccesso alimentare. Molto più frequentemente il cibo, l’abitudine a mangiare, la ricerca di specifici prodotti alimentari, hanno connotazioni di tipo diverso, multifattoriale, dove la tendenza all’eccesso rappresenta uno degli aspetti. Senza entrare nello specifico, diremo che il sovrappeso è un “habitus” multifattoriale in cui l’eccesso di cibo consumato è solo una parte del problema. Nel tempo il nostro inconscio, ovvero una serie di elementi che lavorano nella parte più profonda di noi, stabilisce delle valide ragioni per aumentare di peso: si può mangiare per necessità affettive, oppure per restare ben piantati per terra, per farsi notare dagli altri, per nascondere la propria insicurezza, per deresponsabilizzarsi, od altre cose simili. Ora, prendete uno solo degli esempi fatti e riflettete su quanto tempo possano avere lavorato, per esempio, le cause di una nostra necessità affettiva sulle abitudini alimentari: un tempo enorme che potrebbe essere ricondotto all’assenza di una figura parentale, a disagi familiari, ad una separazione dei genitori ed a molte altre cause. Ci rendiamo immediatamente conto di come qualche mese di regime alimentare, peraltro ben condotto, nulla possano nei confronti della potenza dell’inconscio.
Mettendoci a dieta ci comporteremo né più né meno di come si comporta una molla quando la mettiamo in tensione: finché la manteniamo forzatamente nella posizione compressa le cose sembreranno andare bene, ma nel momento in cui lasciamo andare la presa non solo la molla tornerà alla posizione di partenza, ma avrà degli effetti quasi inversi. Inoltre, continuando a mettere sotto stress la molla, prima o poi non risponderà più bene alle sollecitazioni anche normali. Ovviamente, tutto questo accade solo ad una parte di persone, e naturalmente non in tutti…
DIMAGRIMENTO PER LA SALUTE

In questo caso la ragione che spinge la persona a volere dimagrire è una ragione legata alla salute. Anche qui è necessario fare una distinzione tra chi si rende conto che la sua salute dipende dal proprio stile di vita e chi è malato ed ha improvvisamente dovuto fare i conti con i propri comportamenti, anche alimentari. Risulta evidente come le motivazioni date dalla malattia riescono ad essere più forti della spinta inconscia a mantenere le abitudini sbagliate. Dobbiamo però aggiungere che una volta raggiunta la guarigione, i pazienti solitamente dimenticano con grande facilità i buoni propositi e vengono facilmente riassorbiti da una quotidianità patologica. Quello che deve cambiare è il punto di partenza, il progetto, gli obiettivi, gli strumenti per raggiungerli.
Il programma di recupero della salute dovrà essere quindi finalizzato ad un cambiamento delle abitudini quotidiane, incluse quelle alimentari, che porti ad un nuovo modello di vita, un nuovo paradigma che anche lentamente ma progressivamente porti ad un cambiamento generalizzato. Possiamo parlare dunque non più di dieta, ma di igiene alimentare o, in modo più generale, di cambiamento dello stile di vita. Questo perché sono diversi i parametri che lo costituiscono e che devono essere valutati. Quando affrontare questo cambiamento? La risposta più naturale è il prima possibile! Chi ha già intrapreso questa strada non solo la prosegue con soddisfazione, ma educa in tal senso i propri figli, ben sapendo che il modello iniziale sarà quello più probabilmente seguito nel futuro…
IL NOSTRO OBIETTIVO:
rimanere magri sempre, ovvero combattere il grasso “tossico” e “l’infiammazione silente”



Non occorre essere acuti osservatori per accorgersi che nel mondo occidentale sta succedendo qualcosa di molto grave: infatti, basta uscire di casa e guardarsi attorno per rendersi conto delle dimensioni epidemiche ormai raggiunte dall’obesità. E’ diffusa la tentazione di attribuire la colpa di questo disastro collettivo a debolezze caratteriali come golosità e scarso autocontrollo, ma la questione è decisamente molto più complessa.
L’obesità può essere considerata una forma di “cancro” scatenata dall’infiammazione che, come tutti i tumori, può essere benigna o maligna. Con un tumore benigno di questo genere è possibile convivere per anni (se non aumenta troppo di dimensioni, comprimendo i vasi, i nervi, gli organi ed i tessuti circostanti), ma uno maligno, se non tempestivamente curato, può comportare una prognosi infausta ed evolvere fino a portare al decesso del paziente. Come mai? Perché quello maligno diffonde rapidamente le componenti molecolari dell’infiammazione verso uno o più organi del corpo. Ed è ciò che accade anche per l’obesità, quando il tessuto adiposo aumenta e si cade vittima “del grasso tossico”. L’eccessivo accumulo di grasso corporeo è il primo segnale che nell’organismo si sta sviluppando “un tumore adiposo benigno”, ma la connessione tra obesità e malattie croniche si determina soltanto quando il tessuto adiposo comincia a riversare grasso “tossico” o “cattivo”, nella circolazione sanguigna. In alcuni casi, la prima indicazione clinica è la comparsa di una serie di disturbi del metabolismo (elevati livelli ematici di trigliceridi, di glucosio e di insulina, e bassi valori di colesterolo HDL), collettivamente designati come “sindrome metabolica”. Nessuno di questi parametri, preso singolarmente, è considerato patologico, ma la sindrome metabolica, se trascurata, nell’arco di una decina di anni può evolvere in diabete di tipo II.
A questo punto, però, il deterioramento della salute non è che agli inizi, perché il grasso tossico è libero di muovere all’attacco di ogni altro organo, come ad esempio il cuore, il sistema immunitario e persino il cervello. Una volta che abbia inflitto danni sufficientemente pesanti nell’organismo si possono sviluppare patologie gravi come una malattia cardiaca, una neoplasia od il morbo di Alzheimer.
Questo attacco infiammatorio via via più intenso, portato dal grasso tossico ai danni dell’organismo, ha un’origine molto precisa: negli ultimi decenni abbiamo modificato radicalmente il nostro stile alimentare. La formazione di crescenti quantità di grasso tossico non può essere tuttavia imputata ad uno specifico cambiamento dietetico, ma è piuttosto l’effetto di una convergenza di molteplici fattori alimentari che, sommandosi fra di loro, hanno creato una “perfetta tempesta nutrizionale”.
Questa tempesta nutrizionale ha provocato “un’onda anomala” di grasso tossico, di cui l’epidemia di obesità è la diretta conseguenza. In fase iniziale l’aumento di peso funge da meccanismo di difesa contro la diffusione nella circolazione sanguigna del grasso cattivo generato dall’alimentazione. In particolari condizioni, però, questo grasso contenuto nelle cellule adipose riesce a liberarsi e può diventare il fattore scatenante di una sindrome del grasso tossico che, a sua volta, spiana la strada al precoce sviluppo di svariate malattie cronico-degenerative come le allergie, l’asma, le malattie auto-immuni (artrite, lupus ed altre), neoplasie, malattie cardiache, malattie infiammatorie (morbo di Chron, colite ulcerosa ed altre), malattie neurologiche (morbo di Alzheimer, depressione, disturbi da deficit di attenzione o ADHD ed altre), diabete di tipo II. Tutto ciò comporta gravi conseguenze non solo per la salute dei cittadini del mondo occidentale, ma anche per i sistemi sanitari nazionali che rischiano il tracollo di fronte ad un’epidemia di tale portata.
La sindrome del grasso tossico non è comparsa di punto in bianco, ne è imputabile ad un solo fattore dietetico: l’attuale crisi sanitaria si è prodotta soltanto quando la combinazione simultanea dei seguenti distinti fattori dietetici ha creato la perfetta tempesta nutrizionale:
1) La comparsa di carboidrati raffinati a basso costo
2) La comparsa di oli vegetali a basso costo
3) Il calo del consumo di olio di pesce
L’EQUILIBRIO ACIDO-BASE
a cura del Dott. Valerio Ballardini

L’organismo vivente può essere considerato come un sistema aperto che ha lo scopo di mantenere un equilibrio chimico dinamico che produce energia necessaria a tutti i processi vitali. L’equilibrio acido-base è in stretto contatto con l’equilibrio dell’acqua e degli elettroliti disciolti nei vari liquidi organici, ovvero nel plasma e nei liquidi extracellulari ed intracellulari. La concentrazione elettrolitica nei vari compartimenti liquidi è differente. Infatti, si ha una bassa concentrazione proteica nel liquido extracellulare ed una massima concentrazione proteica nel plasma e nelle cellule, ed ancora, a livello di liquido extracellulare sono contenuti soprattutto ioni sodio e cloro, mentre nel liquido intracellulare sono contenuti soprattutto ioni potassio.

Un ruolo decisivo per la distribuzione dei liquidi e delle energie viene esercitato dalle membrane cellulari. Infatti, su queste membrane limitanti esiste un sistema di pompe ioniche. Il liquido che addensato in forma di gel circonda la cellula, è necessario alla sua esistenza come l’atmosfera lo è per la vita sulla terra.
Il contenuto di acqua e di elettroliti del corpo è praticamente quasi costante, oscillando in ambiti molto ristretti. Questa costante umorale serve oltre che per la composizione costante degli ioni dei liquidi extracellulari, in particolare del sangue, anche per il mantenimento dell’osmolarità e del volume dei liquidi extracellulari. Infatti, l’osmolarità del corpo risulta dal rapporto tra sodio e potassio di tutto l’organismo e l’acqua dello stesso.
L’equilibrio dell’acqua è essenzialmente regolato dalla sensazione di sete e dall’attività renale che trattiene od elimina l’acqua. Tutti e due i sistemi sono sotto il controllo di ormoni, nello specifico ADH e mineralcorticoidi. Da un punto di vista quantitativo l’acqua si trova distribuita in modo variabile nei diversi organi e tessuti. La quantità di acqua totale del corpo varia dal 40% a circa l’80% del peso in rapporto all’età ed al contenuto di grasso. Essendo il tessuto adiposo fortemente anidro, un eccesso di grasso tende a ridurre la percentuale in acqua del peso corporeo. Per tale ragione questa percentuale è ridotta nelle donne rispetto agli uomini.
L’acqua totale corporea è a sua volta suddivisa in vari compartimenti separati da membrane. Il volume intracellulare rappresenta circa il 40% del peso corporeo ed i 2/3 dell’acqua totale corporea. Il volume extracellulare coincide a circa il 20% del peso corporeo o ad 1/3 dell’acqua totale corporea. Il volume plasmatico corrisponde a circa il 5% dell’acqua totale corporea. Il volume interstiziale deve essere in equilibrio con il volume plasmatico. Modificazioni del volume del liquido interstiziale si ripercuotono sul volume plasmatico e producono alterazioni emodinamiche. In linea di massima c’è un interscambio di acqua e soluti tra i vari compartimenti.
Come l’acqua, anche i sali contenuti nell’organismo sono distribuiti in modo disomogeneo. Un’assoluta costanza di volume e di composizione dei liquidi corporei viene considerata come un fattore indispensabile per la vita dell’uomo. L’organo deputato al mantenimento dell’equilibrio idrico ed elettrolitico è il rene. Il mantenimento di un adeguato volume del compartimento extracellulare è essenziale per il buon funzionamento del sistema circolatorio. Cospicui aumenti del volume extracellulare possono portare ad accumuli nell’interstizio (e quindi al manifestarsi dell’edema), e/o ad aumenti del volume del plasma e del sangue, che possono poi sfociare in uno stato di insufficienza cardiaca congestizia. Per contro, notevoli diminuzioni del volume extracellulare conducono ad una riduzione del ritorno venoso e quindi della gettata cardiaca, cui consegue uno stato di vasocostrizione riflessa in molti territori vascolari e quindi ad un’insufficienza del flusso ematico periferico.
Se la pressione dei liquidi interstiziali supera un certo livello, l’eccesso di liquido si scarica nei vasi linfatici. Il sistema linfatico, oltre alla funzione di rimozione dei liquidi, ha quella di rimuovere le proteine. Senza il flusso linfatico la concentrazione proteica aumenterebbe nei tessuti sino a raggiungere i valori plasmatici, di conseguenza la pressione colloidosmotica tissutale eguaglierebbe quella del plasma e l’acqua finirebbe con il passare dal sangue agli spazi interstiziali. Risulta dunque fondamentale che tutte le proteine vengano rimosse dall’interstizio e vengano avviate alla circolazione sistemica. Circa la metà delle proteine circolanti passa nell’interstizio ogni giorno e senza l’attività dei linfatici l’equilibrio idrico tissutale andrebbe perso nel giro di 24-72 ore. L’edema è l’espressione di un eccessivo accumulo di liquido interstiziale, e la sua formazione può derivare sia da aumentata produzione, sia da una ridotta rimozione di detto liquido.
La capacità del rene di concentrare le urine rappresenta uno dei più importanti fattori omeostatici dell’organismo. In stretta interdipendenza con l’equilibrio dell’acqua e degli elettroliti c’è l’equilibrio acido-base.
Equilibrio Acido-Base
Il valore del pH rappresenta la quantità di idrogenioni presenti in un liquido. Gli idrogenioni liberi nei liquidi biologici sono presenti in quantità ridottissima. Tuttavia questi sono estremamente reattivi e sono capaci di legarsi selettivamente molto più rapidamente del sodio e del potassio alle molecole di carica negativa. Un eccesso di idrogenioni ha quindi effetti devastanti su complessi sistemi enzimatici cellulari e le concentrazioni idrogenioniche compatibili con la vita si muovono entro limiti molto stretti (pH 7,80 e 6,80). A differenza del sodio o di altri elettroliti, il cui ingresso nei liquidi corporei avviene attraverso l’ingestione alimentare, gli idrogenioni si ritrovano raramente come tali nella dieta, in quanto si formano per via endogena a partire da precursori neutri che vengono scissi nel corso dei normali processi metabolici dando origine ad una certa quantità di acidi forti. Questi acidi derivano sia da costituenti dei cibi sia dal catabolismo dei tessuti. Viceversa la produzione di acidi fissi diminuisce, fino alla produzione di un eccesso di basi, nel caso di una alimentazione ricca in bicarbonato od in sali organici metabolizzabili a bicarbonato, quale può essere la dieta vegetariana o quella vegana. Gli acidi prodotti dal metabolismo alimentare sono distinti in due categorie: una è costituita dalla anidride carbonica (o acido volatile), composto che è fonte di ioni idrogeno perché in soluzione acquosa si idrata e forma acido carbonico, l’altra comprende più acidi, organici ed inorganici, detti acidi fissi. La sede di eliminazione di queste due categorie è differente, polmoni per l’anidride carbonica e reni per gli acidi fissi, inoltre i processi predisposti nei liquidi corporei per la difesa del pH verso le due categorie di acidi sono sostanzialmente differenti anche se non mancano punti in comune ed influenze reciproche. Comunque il problema non è tanto quella della eliminazione degli acidi prodotti, quanto piuttosto quello del mantenimento entro i limiti consentiti dal pH dei liquidi corporei, in particolare del sangue, durante il trasporto degli acidi dalle sedi di produzione a quelle di eliminazione.
Il raffronto tra le cifre delle quantità prodotte ed i limiti fisiologici della concentrazione degli idrogenioni lascia prevedere che nei liquidi corporei debbano essere predisposti potenti ed efficienti processi che provvedono a risolvere il problema del mantenimento omeostatico del pH: processi chimici che fanno ricorso all’attività di molteplici “sistemi tampone” distribuiti sia nel liquido extracellulare che in quello intracellulare. Questi sistemi tampone non sarebbero sufficienti se non fossero rinforzati dalle funzioni respiratoria e renale. Il bicarbonato rappresenta il più importante sistema tampone dell’organismo. Vi sono due tipi di sistema tampone, quelli che si legano agli acidi e quelli che contrastano le basi. Il sangue possiede solo tamponi che si legano agli acidi.
L’organismo umano cerca di proteggersi da eccessi di acidi, ma non si protegge da eccessi basici perché in pratica questi, in un organismo sano, non ci sono. I sistemi tampone hanno la capacità di assorbire e neutralizzare ioni idrogeno in presenza di un eccesso di acidi e, al contrario, fornire ioni idrogeno in presenza di un eccesso di basi. Caratteristica fondamentale di questi tamponi chimici è la possibilità di entrare in funzione in meno di un’ora per neutralizzare acidi e basi forti che vengono prodotti nell’organismo o che entrano in esso.
I sistemi tampone non impediscono la perdita di valenze basiche, ma spostano la loro azione dalla basicità attuale a quella potenziale del sangue. L’equilibrio acido-base in caso di eccesso di acidi, viene mantenuto sempre a costo della riserva alcalina la quale diviene in questa maniera sempre più esigua. Ad ogni azione tamponante la riserva alcalina perde tanti alcali quanti sono gli acidi in eccesso, sia che questa perdita risulti passeggera, come nel caso dell’acido lattico prodotto nell’attività fisica, sia che questa risulti definitiva, come ad esempio acido cloridrico per bocca in caso di anacidità gastrica. Una continua azione tampone conduce, senza introduzione esterna di basi, ad una mancanza acuta o cronica di basi: acuta con acidi deboli, cronica con acidi forti. La capacità di fissare gli acidi da parte del sangue e dei liquidi tessutali dipende più dalla quantità di riserva alcalina che dal suo valore di pH.
Il sistema acido carbonico-bicarbonato è detto “primario” in quanto è di importanza di gran lunga superiore agli altri per il mantenimento dell’equilibrio acido-base, rappresentando da solo più del 50% del potere tampone del plasma. Proprio il bicarbonato di sodio, responsabile dei potenziali ioni OH del sangue e dei liquidi interstiziali, svolge una funzione speciale nell’organismo, sia per la funzione delle ghiandole intestinali, del pancreas e del fegato, sia per le funzioni dei tessuti. Per tutte queste funzioni, non è il valore relativo degli ioni H ed OH, ovvero il valore del pH del sangue che conta, ma molto più le quantità assolute di quelle sostanze che formano la riserva alcalina, sostanze capaci di legarsi agli acidi. I meccanismi noti di regolazione dell’equilibrio acido-base sono cinque: sanguigno, respiratorio, renale, tissutale ed intestinale.
Come ogni avvenimento nell’organismo, anche l’equilibrio acido-base ha bisogno di una continua regolazione, affinché sia le oscillazioni dell’equilibrio acido-base (del pH nel sangue e nei liquidi tissutali) sia le variazioni del bilancio acido-base (la riserva alcalina nel sangue e nei liquidi tissutali) siano sempre equilibrati. Questa regolazione viene controllata dal sistema nervoso vegetativo.

L’acidosi tissutale (o latente)
Si definiscono 3 tipi di acidosi: tissutale (o latente), compensata e scompensata. La mancanza di alcali nell’organismo, anche se non ancora manifesta nel sangue perché la riserva alcalina dimostra valori fisiologici, è detta acidosi tissutale (o latente), mentre viene detta acidosi compensata quando la riserva alcalina è precipitata, ed acidosi scompensata quando anche il pH del sangue è abbassato.
Una acidosi latente precede sempre una acidosi compensata, perché una mancanza di alcali nell’organismo si rende manifesta prima nei tessuti. La mancanza di alcali è quindi sempre collegata ad un peggioramento della capacità di deposito dei tessuti. Il sangue, che per mezzo di innumerevoli capillari è in stretto rapporto con i tessuti, passa quasi immediatamente ogni eccesso di acidi ai tessuti stessi. In questa maniera gli acidi si accumulano nei tessuti e si parla allora di acidosi tissutale (o acidosi latente). Questo a maggior ragione è evidente quando i reni non riescono a liberare completamente il sangue dagli acidi. Compito dei reni è soprattutto lo svuotamento dei tessuti dai loro depositi acidi, affinché i tessuti divengano capaci di ricevere altri acidi. Se avviene una deposizione di acidi nei tessuti prima che questi siano stati completamente svuotati, sorge una acidosi latente.
Eziologia dell’acidosi tissutale
• Formazione di grandi quantità di acidi attraverso una cronica fermentazione.
• Formazione di grandi quantità di acidi attraverso deviazioni di ghiandole endocrine (diabete, epatopatie).
• Ipofunzione di reni sani o malati (uremia).
• Ipofunzione delle cellule parietali dello stomaco, quindi mancanza della normale ondata basica.
• Mancanza di alcali nell’alimentazione: la maggior parte dei vegetali e della frutta sono considerati ad azione alcalina, anche se un eccesso di frutta può causare condizioni di acidità. Ciò si deve ad una incompleta combustione degli zuccheri. Anche la maggior parte dei carboidrati hanno un’azione acidificante.
• Alimentazione iperproteica che, attraverso la formazione di fosfati e solfati, sottrae continuamente basi fisse all’organismo.
Conseguenze nell’organismo di una acidosi tissutale
L’acidosi tissutale è espressione di uno squilibrio generale dell’organismo e dunque può essere causa di disturbi parenchimali a livello di tutti gli organi, ma in particolare di alcuni organi che sono molto sensibili ad una variazione del bilancio acido-base. Se la mancanza di alcali si manifesta più negli organi connettivali, allora aumenta in essi l’acidità e questi diventano sempre meno idonei a servire da tampone al fegato durante la sua fase secretiva. Inoltre i tessuti invecchiano prima del tempo, da eucolloidali diventano discolloidali, ed impediscono il normale metabolismo delle cellule parenchimali. Le conseguenze più frequenti e note sono il reumatismo, la gotta, l’artritismo, la litiasi biliare e renale. Se la mancanza di alcali si manifesta di più negli organi alcalofili, si può manifestare un danno anche agli organi dell’apparato digerente. Ecco quindi comparire una iperacidità gastrica da cronica ipersecrezione che può sfociare in gastrite o addirittura in ulcera. Con il tempo, esaurendosi la capacità secretiva delle cellule si crea poi l’anacidità gastrica con conseguente gastrite cronica. Il passaggio dalla iperacidità alla anacidità è una condizione favorente lo sviluppo di patologie maligne.
Per quanto riguarda le patologie dell’intestino, è fondamentale osservare che se nel duodeno la resintesi del sale è incompleta, si ha uno spostamento a sinistra del bilancio acido-base (acidosi) e questo non è un ambiente ideale per un buon funzionamento degli enzimi pancreatici e della bile. Gli enzimi svolgono la loro massima attività solo ad un preciso pH, essendo molto sensibili a variazioni anche minime di questo. Questo spostamento a sinistra del bilancio acido-base provoca una incompleta digestione dei carboidrati e dei lipidi, determinando inevitabilmente una disbatteria intestinale. Causa l’eccessiva fermentazione si produce un’ulteriore produzione di acidi che giungono nel sangue, peggiorando lo spostamento a sinistra del bilancio acido-base e causando un’inevitabile auto-intossicazione dell’organismo in quanto si supera il potere disintossicante del fegato. Anche la struttura basica della bile subisce modificazioni e si può avere precipitazione di colesterolo e formazione di calcoli biliari. Per tutto il tempo in cui a livello gastrico si forma il deposito acido, si può avere pirosi gastrica, gastrite e persino ulcera duodenale. Perché si formi ulcera gastrica non è sufficiente un ambiente iperacido, ma sono necessari anche un’ipertonia del sistema simpatico ed una predisposizione costituzionale agli spasmi. Spesso una acidosi tissutale è causa di cefalea, dolori gastrici, astenia. Altro gruppo di malattie provocate dallo spostamento verso sinistra del bilancio acido-base è quello delle patologie del metabolismo ed in particolare del fegato e del pancreas, che sono strettamente sensibili ad una mancanza di alcali, tanto che la loro funzione viene resa più difficile od addirittura annullata. Risulta dunque opportuno pensare ad una eziologia da squilibrio acido-base in tutte quelle patologie epatiche o pancreatiche non conclamate e con eziologia sconosciuta. L’accumulo di lipidi nel sangue fa compiere al fegato un grandissimo sforzo nel tentativo di neutralizzare i grassi in eccesso, e l’acidità del sangue comincia a salire pericolosamente. Per bilanciare questa acidità, vengono mobilitate le riserve di minerali del corpo, creando uno squilibrio acido-base. Le diete ricche di grassi producono una quantità di acidi biliari dieci volte superiore a quella normale e numerosissimi batteri anaerobi che trasformano gli acidi biliari in cancerogeni e sintetizzano estrogeni dalla bile. Questo probabilmente ci spiega l’apparente correlazione tra le diete ricche di grassi e la notevole incidenza di tumori al seno, all’utero, alle ovaie ed al colon. L’accumulo di lipidi nel sangue favorisce l’aggregazione dei globuli rossi, fa diminuire il livello di ossigeno nel sangue stesso e nei tessuti, conduce a disturbi della permeabilità dei capillari. Questo rappresenta uno dei principali fattori di rischio dell’ischemia cardiaca, dell’insufficienza coronaria, dell’angina ed addirittura dell’infarto del miocardio. Quando il contenuto di lipidi nel fegato aumenta, si parla di infiltrazione grassa del fegato (o steatosi epatica). La steatosi epatica favorisce i processi degenerativi cellulari, ed a lungo andare la degenerazione in cirrosi. Esistono però nel pancreas alcune sostanze, come ad esempio la colina, dette lipotrope che impediscono preventivamente l’accumulo eccessivo di grasso nel fegato o che lo fanno diminuire quando esiste. Lo spostamento verso l’acidosi dell’organismo è all’origine di molte patologie riguardanti il connettivo, in particolare gli organi colloidali. Si può avere in questa maniera la spiegazione di certe patologie dermatologiche (eczemi, allergie, ecc) che guariscono con l’instaurazione di una dieta basica e con equilibratori del sistema nervoso vegetativo.
Il bilancio acido-base ha un ruolo chiave nel metabolismo del calcio, quindi uno spostamento verso destra (alcalosi) o verso sinistra (acidosi) di questo bilancio è responsabile di una cattiva assimilazione di questo minerale, e ciò favorisce l’instaurarsi dell’osteoporosi. Non da meno è l’importanza del bilancio acido-base per il normale metabolismo del sodio, potassio, magnesio e ferro. Dunque, con la teoria dell’acidosi latente o tissutale appare più chiara l’eziologia dell’osteoporosi, dei reumatismi, dei disturbi della permeabilità capillare, e non ultimi anche di certi episodi cerebrali (ictus) e di infarto del miocardio.
LA STIPSI

Caratteristiche generali, eziologia, fisiopatologia e trattamento nutrizionale.
a cura del Dott. Valerio Ballardini

La stipsi è un disordine dell’attività motoria intestinale che provoca una diminuzione del transito delle feci, le quali diventando dure hanno una maggiore difficoltà a transitare nell’intestino risultando difficili da espellere. Ciò può provocare emorroidi, fistole e ragadi anali, o le può aggravare se già presenti.

Le evacuazioni nella popolazione occidentale possono avere una frequenza fra tre al giorno e tre alla settimana, eliminando da 45 a 250 g/die di feci, anche se il 50% circa della popolazione totale escreta meno di 100 g/die. Il tempo di transito, che viene determinato anche dal peso delle feci, è di circa 60 ore per gli uomini e 70 per le donne.
Per quanto riguarda la prevalenza, il 10-12% della popolazione occidentale, ed in particolare il 15-17% degli italiani, presenta segni di stipsi; la prevalenza aumenta fino al 20-30% tra le persone in età avanzata.
La stipsi, e concretamente un basso peso fecale, si correla con un aumento del rischio delle malattie prevalenti nel mondo occidentale come i tumori intestinali, la malattia diverticolare, appendicite e diverse alterazioni anali.
Esiste una stipsi considerata fisiologica che si presenta quando ci sono importanti modificazioni nelle abitudini di vita o nella routine dell’individuo, come ad esempio lunghi periodi di riposo a letto per malattia, viaggi, bruschi cambiamenti della dieta, digiuno e gravidanza. Diverse malattie sistemiche possono cambiare anche le abitudini di evacuazione intestinale come la febbre, i disturbi endocrini e metabolici, le intossicazioni da piombo, le depressioni. Questo tipo di stipsi è temporanea.
La stipsi cronica si presenta come una situazione indipendente e senza apparente relazione con altre patologie, iniziando frequentemente nell’infanzia o nell’adolescenza, e può essere classificata in tre tipi:
1) Atonica: è la più frequente e la si deve ad una debolezza motoria della parete intestinale che interessa negativamente il tempo di transito intestinale. In letteratura sono state proposte diverse cause: fattori alimentari (un eccessivo consumo di prodotti raffinati e con poca fibra genera delle feci poco voluminose che provocano una scarsa distensione del retto ed un’incapacità per iniziare il riflesso della defecazione), vita sedentaria, ignorare il naturale stimolo (riflesso) della defecazione produce insensibilità della parete intestinale agli stimoli di distensione (adattamento), abuso di lassativi.
2) Spastica: spasmi del colon interferiscono con la normale progressione delle feci; ciò può provocare dolori di tipo colico.
3) Rettogena: causata dalla perdita della funzione defecatoria nell’ultimo tratto intestinale; il riflesso della defecazione non viene iniziato.
I principali fattori conosciuti del controllo del peso delle feci sono il tempo di transito, che probabilmente è una caratteristica ereditaria, e la dieta che costituisce la variabile ambientale più importante. Nella dieta la fibra alimentare sembra avere un ruolo importante, esistendo una stretta correlazione tra l’apporto di fibra ed il peso delle feci ed anche tra l’apporto di fibra e la diminuzione del tempo di transito. Oltre la fibra, qualsiasi carboidrato (ma soprattutto l’amido) che raggiunga l’intestino crasso ha un effetto lassativo, anche se di piccola entità.
Il meccanismo d’azione non è semplicemente l’assorbimento di acqua da parte della fibra non digeribile come ad esempio la crusca, ma anche l’attacco delle colonie microbiche che aumenta la massa batterica e genera gas (che viene parzialmente intrappolato nella massa fecale). Tutto ciò contribuisce all’aumento del volume fecale che stimola la motilità del colon ed accelera il transito, non permettendo l’assorbimento d’acqua e quindi la disidratazione fecale. La maggior parte delle persone con stipsi cronica appartengono al tipo idiomatico, e soltanto in pochi casi è stata individuata come causa l’assenza di fibra e di liquidi nella dieta.
Rimane comunque evidente ed ampliamente documentato, come la popolazione dei paesi sviluppati abbia ridotto drasticamente il consumo di fibra sostituendola con prodotti raffinati e lavorati, e come purtroppo questo fatto interessi tutti i gruppi di età. Anche l’inattività fisica e lo stress sono stati proposti come fattori capaci di alterare il transito intestinale, anche se ciò non è stato ancora completamente dimostrato.
D’altra parte, la stipsi può essere secondaria ad altre cause come ritenzione volontaria, malattia diverticolare, sindrome dell’intestino irritabile, megacolon e megaretto secondari, disturbi del SNC (sclerosi multipla, morbo di Parkinson, meningocele, danni cerebrovascolari, ecc.), malattia di Hirschsprung (immaturità dei plessi intramurali del colon), malattie colon-rettali (tumori, emorroidi e fistola anale), sigma ridondante e dolicocolon, alterazioni endocrine (ipotiroidismo, diabete ed iperparatiroidismo), anomalie anatomiche intestinali e della parete addominale, inattività (soprattutto immobilità), ipotonia (Sindrome di Down, paralisi cerebrale), diete di calo ponderale ed anoressia nervosa, disturbi psichici, farmaci che inducono stipsi, abuso cronico di clisteri e lassativi, alterazioni metaboliche (porfiria, uremia, ipercalcemia, ipokaliemia, ipomagnesiemia).

L’obiettivo del trattamento della stipsi, principalmente di quella di tipo atonico, è la stimolazione della motilità intestinale tramite l’assunzione degli alimenti appropriati.
La dieta con effetto lassativo deve incrementare l’eccitabilità ed il tono del muscolo liscio della parete intestinale (soprattutto a livello dell’intestino crasso) attraverso il potenziamento degli stimoli chimici, meccanici e termici.
Per il raggiungimento di questi obiettivi dobbiamo:
1) Aumentare il volume degli alimenti ingeriti ed aumentare il consumo di liquidi.
2) Aumentare i residui dei processi di digestione ed assorbimento, ovvero aumentare il contenuto di fibre della dieta. Per aumentare l’apporto di fibra possiamo incrementare il consumo di pane integrale, frutta, verdura, ortaggi e legumi. In alcuni casi non è possibile consumare i legumi perché producono un eccesso dei gas risultanti dalla fermentazione degli oligosaccaridi che contengono. Quando queste modificazioni dietetiche risultano insufficienti, potremmo consigliare il consumo di crusca, iniziando con piccole quantità (5 g/die) per evitare un’eccessiva distensione colica fino a raggiungere la quantità definitiva di 15 g/die. Nei casi in cui la crusca non sia tollerata, il paziente può assumere prodotti a base di tegumento dei semi della famiglia Plantago, oppure alcuni tipi di gomme vegetali oppure metilcellulosa. Tali fibre devono essere ingerite accompagnate da grandi quantità d’acqua (1500 ml/die indipendentemente dall’acqua contenuta negli alimenti) per evitare i rischi di impatto fecale ed ostruzione intestinale. È importante sapere che la crusca interferisce con l’assorbimento di determinati cationi (calcio, ferro, magnesio, zinco, ecc.) ed impostare, di conseguenza, la terapia nutrizionale. Esistono in commercio alcune formule commerciali di crusca carenti di fitati. Questo tipo di fibra deve essere ingerita durante i pasti iniziando con piccole quantità di 3,5-7 g/die, che possono essere aumentate fino a 10-14 g/die se necessario. Se dopo 6-8 settimane di integrazione con fibra non osserviamo una risposta soddisfacente, è necessaria una valutazione funzionale del paziente.
3) Aumentare le secrezioni intestinali: la cellulosa ed il lattosio, quando sono attaccati dalla flora batterica dell’intestino crasso, producono acido lattico, il quale stimola la peristalsi intestinale e favorisce la secrezione intestinale. I trigliceridi possono agire come stimolanti della peristalsi grazie al loro lento assorbimento a livello ileale. I trigliceridi, o i prodotti risultanti dalla loro digestione (soprattutto dopo la loro modificazione batterica), hanno un effetto secretore di fluido ed un effetto stimolatore della peristalsi perché stimolano la liberazione di colecistochinina, sostanza che ha un effetto colecisti-cinetico favorendo la liberazione a livello intestinale di una bile ricca di acidi biliari. Per questa ragione gli alimenti grassi sono indicati, garantendo un effetto stimolante e lubrificante.
Gli acidi grassi presenti nella frutta (agrumi) favoriscono anche il transito intestinale
e la secrezione della mucosa.
4) Aumentare gli stimoli termici mediante l’assunzione di liquidi tiepidi a digiuno o prima dei pasti.
Tutti questi stimoli dovrebbero essere ripetuti più volte al giorno, e perciò si consiglia di frazionare i pasti, cioè di realizzare un maggiore numero di pasti al giorno.
Il trattamento nutrizione della stipsi spastica è simile a quella atonica ma con alcune precauzioni o limiti:
a) evitare la fibra cruda che potrebbe originare spasmi, e somministrarla modificata dalla cottura.
b) I pazienti devono ingerire gli alimenti finemente divisi e devono limitare gli stimoli chimici e termici.
c) Gli unici stimoli da utilizzare saranno il frazionamento della dieta e l’assunzione di acqua e grassi in abbondanza.
Infine, nella stipsi proctogena non è necessaria una dieta ricca di residui e di stimolanti intestinali dal momento che il transito intestinale è normale. In questo caso devono essere combattute le cause locali che contribuiscono allo sviluppo della stipsi (fistole anali, emorroidi, spasmi dello sfintere)
Infine, la dietoterapia della stipsi abituale deve essere coadiuvata da queste altre misure:
1) Rinvigorire i muscoli addominali mediante la realizzazione di esercizio fisico e massaggi. Evitare il sedentarismo e programmare un’attività fisica adeguata all’età ed allo stato del paziente.
2) Modificare il psichismo del paziente.
3) Rieducazione delle abitudini di evacuazione intestinale; stabilire un orario dall’infanzia, cioè creare una nuova regolarità dell’alvo cercando di defecare ogni giorno alla stessa ora.
4) Trattare gli spasmi dello sfintere anale e qualsiasi alterazione patologica localizzata in questa zona.
5) Usare con cautela lassativi e purganti. La terapia farmacologia deve essere considerata, nella maggior parte dei casi, come una semplice misura coadiuvante.
METODICHE TERAPEUTICHE NUTRIZIONALI ADOTTATE

- Nutrizione Metabolica
- Nutrigenomica
- Test Metabolismo Intermedio (ODOR TEST)
- Test bioenergetico E.A.V. sulle Intolleranze Alimentari
- Protocolli nutrizionali per adiposità localizzata, sovrappeso, obesità, sindrome metabolica, insulino-resistenza, ipercolesterolemia, iperuricemia, ipertrofia prostatica, sport.